Hodites vestito di bianco e di verde
(Sparta, 400 a.C.)


Certe volte mi chiedo, mio Hodites,
qual è stato il richiamo che ti ha condotto da me.


Mi frugo nella mente a cercare il tuo volto,
a ricordarmi il monello che eri:
non vedo che erba quando corri nei prati
tutto abbronzato che scavalchi gli steli;
o nei vicoli ombrosi che ti nascondi da tutti,
ma quando di corsa attraversavi un crocicchio
splendevi di bianco abbagliante di sole.

Qualcuno ha voluto che fossimo insieme;
non so se fu Artèmide o la cieca fortuna,
o le cose l’un dopo l’altra da sé combinate.
O i nostri dèmoni buoni che han cura di noi:
sono una brezza che ci sfruscia d’accanto,
ci sussurran parole di conforto e di guida,
ci mostrano immagini come nel sogno,
e quel che vedi di certo avverrà.

Non possono fare di più, contro i sassi
della nostra città, il fragore delle armi cozzanti,
le grida sul grande piazzale, i plotoni schierati.

S’accontentan di poco, di saluti rubati,
di uno sguardo-sorriso nel medesimo istante,
di quel fermento che rimane nel cuore;
contenti d’essere vivi e d’amare, in questo momento,
rincorrendoci come leggere folate di vento
sul verde dei prati, lungo il bianco delle case assolate,
negli interstizi del tempo che ancora son vuoti,
nella coscienza di noi che ancor ci sorprende.

 

Iseo, 24 maggio 2011

 

Olmo-papà Sincerità


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