Il mio pane, or ora sfornato

Il mio pane, or ora sfornato

 

La bellezza mi attira: il perfetto esistente, il reale elettivo.
Trascegliamo nel prato un fior di ranuncolo, abbiamo rose in giardino.
Tra la massa d’innumeri volti, quell’uno mi chiama, con lo sguardo lo miro.
Una storia l’ha portato sin lì, al solito vive quel che in volto gli vedo.
Non ci sono criteri: è un aggancio di pancia, pesce lesso intontito, povero tonno.

La mente drogata non raccapezza più i fili di un ordito sensato;
è guidata a seguir altri fili che disegnan nuove figure, per bellezza nuove.
La bellezza sorprende, al momento è superlativa, immersiva.
La sorpresa toglie il fiato, a bocca aperta come pesci nella boccia.
A quell’amo volentieri abbocchiamo, indizio di una vita migliore.
Il segno materiale mostra nuda la verità, la qualità di cui si sostanzia.
E lì dietro, lì dentro c’è tutta una vita, un modo di viver la vita unico e nuovo.
Un volto è lo scatto di un attimo, su d’un bordone di fondo che vibra di buono.

Deglutisco un boccone di vita, il corpo mi parla con metafore fisiche,
balzerei dall’agguato a mangiarmi tutto quel volto: una bocca da lupo.
Divengo una belva quando punto qualcosa di buono: il piacere mi fa bella la vita.
Mi viene il coraggio, mi arriva la forza, quel volto mi nutre di più.
Lo voglio mangiare, eppur m’è passata la fame, a digiuno di quella bellezza.
Ho una fame diversa, acquoline più profonde e segrete, da giù nelle pelvi,
vicine all’istinto, dove sento la forza vitale del chi, il nucleo della centrale.

Ogni cellula riceve la sua parte di buono, sorride beata di tutto ’sto bello.
Ed è solo la punta che da fuori si vede: dentro ho rimosso tutto quel ch’ero
per far posto ad umori attuffanti che ricolmano i vasi, che inondano gli atri.

La lettura s’è fatta contenuto, mi sono immedesimato in quel che ho visto e veduto,
vivo in me di che farina è impastato quel volto: pane quotidiano or ora sfornato.

 

Cremignane, 2 aprile 2015 (7:05)

 

 

La bià dei Giólcc Anche quest’anno


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