Il ciliegio

 

Ho dovuto sradicarti dal cuore, come fossi gramigna:
il tuo fantasma un molesto tormento,
un malinconico assillo, un sangue amaro e cattivo.
Il fragile appiglio di un provvido fico
è bastato per uscir di Cariddi:
son troppi i pensieri, m’incantano come in un film
e lo credo reale perché ben raccontato.
Allora gramigna è parola ad effetto – e ben trista.

Non sempre è domenica, il 27 non è tutti i giorni;
in effetti non sai quand’è giorno di paga,
né quanto il salario, né per chi stai lavorando.
O vorresti viver di rendita, senza il gusto di quello che fai?
Un buon desinare ti costa un mattino in cucina.
Se viene un amico a prendere il tè
lo prepari cominciando a pulire il sentierino di casa.

Ho un pensiero vorace, vede solo il totale,
gli interessa il buono del sugo e non il tempo sul gas.
Vorresti ciliegie per tutta l’estate, e d’inverno dal Cile.
Inganni l’attesa facendo parole crociate,
ne cavi un romanzo, un vademecum, quasi un oracolo,
e sai già come deve finire.

Hodites ha ripreso il suo viaggio, non gl’importa la strada,
non cammina per lastricati pensieri – di altri;
e non gl’importa la meta, il frutto, la somma.

Un ciliegio d’estate si gode il suo verde, riposa,
non pensa ai frutti del prossimo anno,
non pensa alla scure, alla pialla,
al fuoco di un ciocco a Natale.

 

Cremignane, 9 luglio 2011

 

Nel bosco Cyber


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