Miti dardi

Miti dardi


Distesi nel sole a goderci sul corpo i suoi raggi,
ci accarezziamo di sguardi ustolanti la pelle alla luce.
Ogni secondo è ingrandito, ognidove con le dita ti tocco;
ho un fremito ogni volta che anche tu mi raggiungi.

Passo per passo il tuo mare mi lambisce le membra – da dentro.
Il suo sale gustoso m’impregna salendo la carne,
e quando lo sento stringermi il petto comincio a nuotare.
E anch’io sono mare, allegro delfino fo mille tuffi a carpione.
Odo sott’acqua un’ovattata parola: me ne giunge il vibrato riverbero:
risonanze dolcissime ricompongono in armonia tutto il mio essere.

Mi ruba una mano e se la stringe sul petto.
Apro gli occhi e vedo mi guarda: come burro mi sciolgo.
Sento un pervio fluir di pizzicanti correnti, di aciduli umori.
Mi cresce una forza: ci baciamo nell’attimo stesso;
ci rincorriamo coi baci, ci vogliamo mangiare.
Le sue carezze s’affondano, mi cercano il cuore.
Respiro il calor della pelle,
rugosa di un brivido quando sente il mio fiato.

Mi annusa come a cercare una traccia, che subito trova.
M’afferra alle braccia: ricerca ardente e bramosa.
Son lieto di farmi cerbiatto al dardo di Artemide:
son pur miti i suoi strali; è morir per un dio.
Terminato quel rito, ti ridona più nuova la vita.
Sgambetto, m’affranco i garretti e corro nel folto.

Mi desta la linea d’un dito che mi percorre su un fianco:
«Sei tu che m’hai fatto morire?»

 

Cremignane, 15 gennaio 2012

 

 

Intimi umori Mille piccoli chicchi


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