La navicella

La navicella

Un vagito di bimbo ci volge lo sguardo,
meraviglian di gioia gli occhi a mirarlo,
ne ricolma il tuo cuore d’intimi affetti
e la mente più oltre non giunge a pensare.
Ora è con noi, nel mondo nostro dell’essere,
baluardo evidente contro il vuoto ed il nulla.

Una mano esperta di donna china al telaio
guida tra i fili sottil navicella
cui affida il disegno che ha nella mente.

Non dal nulla ci giunge quel bimbo:
un filo trapassa dal mondo dei cuculi
ora si veste di carne e colori, di tempo e di vita.
Altra cimba ci porterà a suo tempo oltre il Lete.
Ma è lo stesso delfino che gioca su e giù con le onde.

Siamo bimbi nel cuore, nati pur mo’,
ridiamo a quel volto di madre che un seno ci porge,
all’aquilone dei sogni che ci porta lontano,
verso quel cielo di rondini, terso e infinito,
che ricordiamo d’aver anche noi abitato in un giorno lontano.

Svapora in quell’etere un riverbero di nota sospesa
o la voce soave che recita un verso mandato a memoria,
i passeri occhi anche altro vi vedono che sol uva dipinta
e già vola quel disco di pietra non ancora lanciato.

E se pur oggi siam fatti di carne in scadenza
pur vivon con essa il pensiero e la netta coscienza.
Sentiamo nel petto un cuore che batte
e il vario sentire di uomo che vive,
che ama, che vuole, che tende a una riva,
che sa che nel bello un’anima ride,
che ritorna se stesso nel mese d’aprile,
che vaga nel mondo per esser felice,
che si sente morire quando incontra il suo dio.

Siamo tardi e zucconi ma anche noi a Betlemme,
ti scaldiamo col fiato e col fieno che ti abbiamo lasciato.
Dalle stelle sei sceso in questa povera stalla.
Tu che una volta ci festi del tuo stesso sembiante
ora ti fai creatura in tutto simile a noi,
ci sorridi con gli occhi la Buona Novella:
sei nel pennello che dipinge come un tempo t’ho visto,
nella parola assai cara con cui mi chiamasti quand’ero di creta,
nel suono che ruppe il silenzio all’inizio del tempo,
nella scheggia di marmo che finora nascondeva il tuo volto.

Ci viene da chiedere: «Chi sei, bel bambino?»
e già sentiamo di saper la risposta:
« Tu sei la Parola, stelo d’erba di fronte al deserto,
essere e senso in noi da scoprire.»

 

Cremignane, 1 novembre 2005

 

Pubblicata su «El Caròbe» 2005.4, p. 313.

 

E ti sei An bratì de föc


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