Olmo papà


Un rosso trattore è arrivato nel prato,
da oriente sorgeva la nuova luce del giorno.
Con le scale sono saliti a mettergli un cappio.
Strida acutissime mandava la sega a motore,
come assordano i pifferi per l’imminente battaglia.
S’intride la catena tagliente di trucioli e linfa:
da poco s’era ridesto il grand’olmo ai primi tepori,
a ricominciare, rivivere, respirare, verdeggiare,
che già è tempo nuovo, la stagione splendente.
Sarebbe vissuto un altro anno ancora:
fiori per le api, sàmare per il vento, rami pei nidi.

 

Cremignane, Idi di marzo 2011

 

 

Non chiamiamo più spietato il destino.
Ora capisco perché vedo una falce, quando penso alla morte:
e son io quella morte, siam noi questa morte
che affondiamo una spada nel seno che ci ha partorito e nutrito.

Su quel ceppo rimasto, ogni volta che vi faccio pensiero,
vedo cader la tua testa mozzata, papà.
Mi guardo le mani: sono piene di sangue.

Mi siedo sul ceppo, accarezzo la corrugata corteccia:
ancor la tua linfa di vita mi risale nell’arido corpo.

Io ti hi ucciso, ùlem bubà, per dimostrarmi più forte,
per dimostrarmi che non ho più bisogno di te.
E solo ora capisco – perché tocca a me – che ho lo stesso tuo seme.
E siam da millenni forse il medesimo essere.
Dal tuo ceppo ricresco, mi faccio più simile a te, verdeggiante.

Aspettando la scure...
Ma non per adesso.

 

Cremignane, 15 maggio 2011

 

Nel vuoto Hodites vestito di bianco e di verde


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