Solo

Solo

Non alzi lo sguardo a veder degli amici:
uno per uno si sono dispersi, cambiando la pelle.

Ne avevo come i capelli sul capo, era il mio vanto ed ero contento.
Quasi a zero mi hanno rapato, tipo marines.
Ho quasi vergogna ad uscire: si vedon le mani
di quanti mi piegano il collo a far l’ubbidienza:
se voglio sedere a quel tavolo, mangiar la minestra da quella scodella.
Per questo non mi guardo più attorno: è tale il mio giogo,
ora che vedo il contratto, rinfacciato come un ricatto.

Mi sento svuotato. Mi ricordo a stento chi sono; solo del nome,
appiccicato col velcro al taschino: uno strappo e sono nessuno.
Fragile come un campanellino di vetro che non si osa suonare.

Cerco d’attorno un aggancio, accompagnarci e parlare.
Al passaggio a livello ognuno aspetta paziente in silenzio:
potrebbe durare una vita: insensati a un modo e l’attesa e l’arrivo.
Annebbiati i ricordi, infiappiti come frutti fuori stagione.
È questo ora il mio sangue, calcinacci che si staccan da soli,
non è una pelle che cambia, è una piaga che ogni giorno s’allarga.
Son diventato bionico, tutto mi han trapiantato.
La notte mi metto in ricarica; da molto non sogno.

Sento lo sguardo di due occhi appostati.
Ricordo solo un timbro di voce, e parole che mi riempivano il cuore.
Ma ora dov’è? Che io stesso non riuscirei a vederlo, mi passasse davanti!
Sarà meglio che vada a cercarlo. Da me. Da solo.
Per non sentirmi così.

 

Iseo, 23 settembre 2011

La frusta Ala di fata


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