La frusta

La frusta

Sferza ogni verso la pelle viva d’un dorso vivente.
Le parole sono brandelli insanguinati di cute.
Bottino di guerra e la vita e il destino.
Il ritmo scandisce la marcia ai tuoi passi.
Dai madieri risale nel corpo il cupo rimbombo;
fende via liscia la chiglia, signora dell’onda;
c’è un porto al tuo andare, signore del viaggio,
nel fondo di un fiordo, caletta di rena attende il tuo sbarco.

Occhi neri di mite cerbiatto t’osservano e fuggono.
Una parola non può, o non vuole, trattenere quei balzi.
Non giunge la frusta: s’ode lo schiocco d’un saluto o di un bacio.

Con parole di miele, ammorbidite nei toni e lievi scandite
hai sedato furente tempesta nell’incanto di un attimo.

Con sobri calzari cammini coi piedi in punta di penna.
Un volto rivisto è scalmo al tuo remo, ala di nave;
ventaglio di penne pel respiro ai polmoni, per l’aria al tuo fuoco,
incandescente la brace trasparente e pulsante di un cuore.

Fra il piatto del mare e la calotta del cielo ti figuri il tuo porto;
ascolti sirene ingannando l’attesa, e lontano ti svii.
Non c’è portolano, è pur nuovo quel mare che ciascuno si solca.

Gibigianna lucente miri a tuo agio in quegli occhi.
Il tuo corpo frustato ti parla coi tratti di sortìleghe rune,
nel cristallo degli occhi intravedi il porto lontano:
che è già questo volto che vedi, le dita che stringi incrociate alle tue.

 

Iseo, 17 settembre 2011

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