Un saluto al semaforo


a Hodites-Viatore
incontrato più volte per strada

I.

Hodites risponde freddo al saluto di Poros
e abbassa lo sguardo


Te ne sei andato,
ma ancora tu riempi il vuoto
della tua assenza.
Ancora tu, il pensiero di te
che te ne sei andato.

Una favola ancor mi racconta
che nudi e stremati si arriva ai Feaci.
Eppur mi vien da tappare con creta
le fiasche del vuoto e lasciarle alla polvere
sulle più alte scansìe.
Non c’è nulla più dentro.
Non so nemmeno che vino tu fossi.
Sei fuggito per fatti tuoi dalla lampada,
lasciandomi con un palmo di naso
a pensar che eri il buon genio, il buon vino.
Mi rendi quel mio “bene” presunto.
“Non è la misura”, mi dici, è altro il tuo tipo.

Anche il cuore mi mente? m’inganna?
Che può far contro un bulldozer?
Che quercia resiste alla sega a motore?
Non sai cos’è un bacio, preferisci uno smack per e-mail ?
Bist du fort aus meinem Leben? (1)
Che debba ogni tanto far piazza pulita,
aprire il cuore e la mente, che si faccia contr’aria,
che entrino luce, soffio, frescura di primavera?
L’unghia del pollice mi taglia egualmente la gola.
Che è morto in quel gesto improvviso, fin troppo reale?
Che recita c’è questa sera?
Devo fuggir dal teatro:
per strada ci si gioca la vita;
per strada val bene morire.
È guerra con gli atomi, con gli attimi.

“Mòllami! Hai sbagliato persona!”

Perché ancor tremi, respiro?
Perché sei gonfio al respiro, mio cuore?
Che abbaglio! E pur luce fu stata. Fu vera.
È vera, guardala bene: è cenere arida.
«Non è per te la mia luce
sebbene tu me l’abbia resa scoperta.
Non ti meriti nulla. Non presumere nulla.
Nulla ti devo e non mi serve il tuo “bene”.
Io non c’entro! Lasciami fuori.
Non pesarmi sul collo o dovrò pugnalarti.
Se proprio mi vuoi, lasciami perdere!
Aspetta un buon tiro di dadi.
Attendi che me lo comandi il destino. ’A vita mia

Iseo - Cremignane, 23 marzo 2011 

II.

Prendendo altra strada per evitarlo,
a dispetto, Poros incontra Hodites



Ho alleato il suo genio,
il solo pensarlo diviene reale.
Mi tormenta il destino
con mille infantili dispetti:
vuol dire che scherza, che vuole giocare,
vuol che l’insegua per scartare di lato,
vuol che lo cerchi, che scopra dov’è la sua tana:
è lì che mi vuole – noi soli – attirare,
che il sole non veda il mistero,
che rimanga in quel buio fra noi
il puro ricordo dei baci a sorpresa,
l’odor delle pelli, l’ansimare dei fiati
e nelle dita sul dorso ancor la sua guancia
col lieve tinnir del neghittoso suo riso.

E vo ancor venturando nuova Itaca in mare.

Iseo - Cremignane, 28 marzo 2011

 

III.

È stato tutto un equivoco?
La chiamata



Mi chiami sul fare dell’alba
quando ancora son nitidi i sogni.
A te penso e il tuo sguardo mi vede,
mi pone nella mente un pensiero,
uscire a vederti dal vero.
Mi mostri la via, e dove sostare,
segnare i minuti quando ti vedo passare.
Sì, m’hai chiamato, ne ho perfetta certezza.

E parto, anzitempo rispetto al normale.
Parcheggio, e mi volgo a vedere se viene,
ma poi mi correggo come lui mi ha indicato:
e subito alla vista compare dietro un pino di mare.
Lo seguo passare e riaccendo la macchina
per correre all’altro parcheggio.
Lo sorpasso e quando siamo alla pari
gli mando col pensiero un saluto: “Ci sono”.
Il tempo di prender la giacca e chiuder la macchina,
Lo vedo distante che curvo pedala arrivando.
Faccio finta di niente, di passare per caso.
Lui alza lo sguardo, mi sorride e saluta.
“Mi volevi?” penso fra me, “sono qua”.
Ricordo un po’ triste e assonnato il mio “ciao”.
Il suo volto riceve un raggio di sole,
uscendo dall’ombra dietro un angol di casa.

Non so dir cos’è che poi dentro s’appicca,
il respiro s’affanna, s’infittiscono i battiti.
E vado fingendo di andare al lavoro
ma è ancor troppo presto, ho un sacco di tempo.
Cerco di non farmi distrarre dal mondo,
e farmi guidar dal suo volto che mi vedo davanti.
Che corsa ho mai fatto, per ansimare così?
Devo aprire la bocca e prender più aria.
Un tempo compatto, non s’è perso un istante,
esatti orologi han sovrapposto le sfere,
scocca nell’ora opportuna la freccia dall’arco.
I nostri destini si lascian vedere, passandoci accanto,
dall’aperta finestra, da trasparenti pareti.

Se m’hai chiamato davvero, e non è suggestione
ora sai che ci sono, ci sono per te.
Non so com’è giunto alla brughiera del sogno
il tuo vago bisogno, il volermi vedere:
mi par di capire che parte il messaggio
quando il cuore è pulito dei nostri costumi,
quando le radici che corron sotterra si sono trovate,
quando la mente non mette suoi ceppi allo spirito
quando stanca ci cade dal timone la mano,
quando in sabbia sfarina il granito dell’arce che è l’io.
quando il sogno medesimo ci dice che è vero
ché viene dalla porta di corno, recando in copia i suoi doni
e non dalla porta d’avorio che vien dalla Cina lontana.
Quando i fatti son già preparati e non manchiamo che noi.

Raramente son stato come oggi felice.

Iseo, 5 aprile 2011

IV.

Hodites si ferma per bere;
Poros per caso lo vede



Sulla lunghezza d’una frequenza remota
dove pulsan migliaia di cuori (2)
dove i battiti non si posson contare
c’è qualcosa che passa e si crea
che il tempo t’affetta in tranci di vita.

È solo per caso che mentre ti guardo ti fermi?
Ti togli dalle spalle lo zaino
e prendi dalla tasca la bottiglietta dell’acqua.
È così che si gabba il destino?
che ti fermi ad un tratto per bere
nell’esatto momento che sono a vederti?
Che capisci di me? Mi ami tu forse
che m’assecondi senza alcuna richiesta?
Siam solo due amici, ma pare stia scritto
che siamo diamanti, affilati e splendenti,
a ritagliarci dal vetro del tempo la sagoma nostra
e varcare la soglia nei fatti e nel vivere.
Le nostre vite ci appaia il destino
nell’istante preciso che coincidon nell’essere.
Come quando perduti davanti a un’immagine
distratti s’incrociano gli occhi pel troppo guardare
ed essa d’incanto più viva ci appare
nelle tre dimensioni com’è nel reale.

Mi gioco la vita a giocar col destino:
ultra non datur, Übergötter gibt es nicht (3).
Procediamo con precise porzioni di senso
unite in sintassi, per regolari espressioni (4) :
Oh, povera mente, imbecille all’impresa!
Il cemento concreto (5) dei fatti costruisce città.

È fatto fra noi la tua sosta per bere
non era vero bisogno, ma sì quella voce
che senza comando pur decideva il tuo fare.
Come d’istinto s’arresta una lepre
quando sa che un fucile la mira.
Agnello al destino, vuoi farti mangiare dal lupo?
L’altare trasforma, dà forza alla vittima.
Non mi piace quel fuoco che brucia olocausti,
preferisco un uomo paziente che impugna la spada (6)
che si difende la vita, che prende quel che preme al suo cuore.

Aspetto un imbarco, un ospite illustre
e se non viene, alla luna salperò per l’alto del mare.

Sul tuo portolano son segnati gli scali:
è il viaggio che prepara l’arrivo, dovunque esso sia.
«Va bene ogni porto, purché sia lontano
voglio fare un gran viaggio… voglio stare con te.
È questo il mio viaggio. E chiedo: “il tuo pure?”»
«S’è infranta ogni rotta, il mare ci guida:
capire viaggiando se vogliamo arrivare».

Intanto che bevi m’ingotti lo sguardo,
mi marco in memoria quest’attimo bello:

«Ora sto fresco ed è tutta discesa.
Ho cambiato mia casa, mi son fatto una zattera,
al mare m’affido, nel vastissimo mondo,
a quel solo destino che accetto per mio
che voglio sia mio: è lì che son io.
Berrò tutto il mare, mangerò tutto il mondo
ma ti voglio trovare, fossi pur fra le stelle.
Pedalo – o pur remo, o già volo – per giungere a casa
mentre un’altra, una mia, in testa m’è nata.
Rubo il tuo sguardo a farmi da guida
i tuoi occhi mi presti ch’io veda lontano
che veda pur io come dentro mi son e mi vedi.
Con pollice in alto ti chiedo un passaggio:
c’è posto da te? Sarò il tuo infimo mozzo.»

«No! Son la tua nave feacia,
mi guida al timone il tuo stesso pensiero.
Una sola è la rotta, compiuta e perfetta:
allarga le vele, distendi i tuoi vanni,
lascia a riva tutto quel che non serve.
Mi basta il tuo cuore e il sapere
che talvolta di notte t’apprendi in fuochi binati (7)
al pennone di prua e so dove andare,
al pino maestro piantato ben saldo.»

Iseo - Cremignane, 11 aprile 2011

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(1) «Sei fuori dalla mia vita?» da Guslan Tschinag, Liebesgedichte, p. 25.

(2) Etimologia popolare per kilohertz, dove hertz è inteso omofono di Herz “cuore”

(3) “Di più non è dato”. “Super-dèi non esistono” parodiando il nietzschiano Übermensch.

(4) Termine dell’informatica: Le espressioni regolari sono un potente strumento di controllo per la verifica delle stringhe, dei caratteri che contengono o del loro formato. Esempi di espressioni regolari sono il codice fiscale italiano o il codice ISBN per i libri.

(5) Nome e aggettivo giocan fra loro: in inglese concrete significa anche calcestruzzo.

(6) Gioco verbale e iconico sulla parola pazienza, resistenza, sopportazione , che in cinese è scritta col carattere “lama” sopra il radicale del “cuore” (忍 rěn). Il carattere 人 rén (cambia solo il tono) significa “uomo, persona”.

(7) Quando i fuochi di Sant’Elmo sono due, sono chiamati Castore e Polluce e si crede possano far cessare le tempeste. Anticamente eran detti corpo santo, Corpus Sancti.

 

O dèi della notte Praesignia


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Un saluto al semaforo by Vittorio Volpi
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On line dal 15 aprile 2011
Ultima modifica 17 aprile 2011

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