Una mora

Un’òra di lago ti avvolge di fresco, il mattino.
Il sole è sorto da poco, ancor non è troppo caldo:
mi godo un giorno di ferie: l’inizio è già tutto.
Seguo nel cielo le rondini, sotto il tetto han tre nidi.

C’è molta bontà nella vita che vedi d’intorno:
respiri il verde che vedi, le nuvole bianche che scoppian di luce.
La mente tira i suoi fili, le stadie, le reti
e tutto le sfugge come sabbia finissima di una clessidra.
Il corpo – quel bruto – qualcosa capisce: sa che sta bene,
gli giunge alla guancia il tepore di un raggio di sole.
Il respiro inala quest’anima e ti dici «io vivo».

Ricordi sul guanciale i singhiozzi che sol ieri hai versato.
Nella vita, una vita seconda: vi sei artefice attivo:
in quella bontà che rifulge nel petto trapassa la vita,
rossa di sangue, di carne, di labbra... di fuoco.
Un ardore che brucia e consuma, si rinnova e rinasce.
Amore si chiama da sempre: una forte e feconda bontà;
non c’è desiderio, possesso, potere: non ci possono stare!

Sei solo una mora lungo un sentiero: contenta se qualcuno ti coglie,
il tuo lucido nero dice del dolce che in bocca si scioglie.
Il viandante incrociato per via: ci s’intende pur parlando ognun la sua lingua.
La novità che vuoi vedere cos’è, costruita dal caso soltanto per te.

«Oh, sì. Sì che la voglio, mi fa bella la vita, una vita che scelgo, più mia.
Eri mora di siepe, viandante di strada, una bella novità:
io, libero, attratto, ho voluto nutrirmi di te,
Ho visto quanto sei buona e ti ho voluto parte di me».

 

Cremignane, 30 giugno 2011

 

Rumore di piatti Sei tu il mio papà?


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