Ameraldi - Preludio
Oberto Ameraldi:
Una vita di fede per la scuola

Brescia : Fondazione Civiltà Bresciana, 2000. - (Cattolici & Società ; 11), p. 7-12


1. Preludio

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La historia es cosa vana
si no sirve para preparar un mañana mejor.

Oberto AMERALDI

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Il passato non ritorna: gran verità.
Lenita agli umani è tal dira eredità:
I ricordi serbati nell’anima non hanno età.

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     La scelta della narrazione in prima persona comporta un processo identificativo che di per sé è quanto mai lontano dall’esposizione oggettiva. Tuttavia tale modalità permette una maggiore libertà d’escursione fra i registri stilistici e narratologici, col rischio evidente di sovrapposizione dell’autore sul personaggio. Alla registrazione stenografica e protocollare del racconto di Oberto, faccia la tara, dunque, l’avvertito lettore, all’intervento del trascrittore, che ha integrato l’“affresco” là dove risultava scrostato e ammuffito, l’ha consolidato dove risultava più labile e l’ha restituito ad un probabile originale là dove era mancante del tutto.
     L’intenzione sottesa era quella di far valere il passato, di dar valore a quel che altri uomini, un altro uomo, avevano già vissuto. In quel che ciascuno ha di simile col proprio simile, la vita di ogni individuo è da ritenersi universale. In quel che abbiamo di diverso dagli altri sta il contributo di ognuno al divenire dell’umanità. Al lettore la scelta di piluccare dal grappolo gli acini più maturi e invitanti: alla vite già basta l’aver dato il suo frutto.

     Ho rinunciato di proposito ad approfondire alcuni argomenti, su questi il libro può sembrare reticente. Altrove mi son trattenuto, per rispetto, dall’inoltrarmi in una sfera troppo personale e privata.

     Non ho inteso fin dall’inizio scrivere un’agiografia. Effettivamente però la presente ricerca sembra presentare il personaggio in una luce quasi solo positiva. De mortuis nihil nisi bene . Ed oltre a questa raccomandazione antica, dichiaro fin d’ora di essere stato partigiano. Ho conosciuto personalmente Oberto, ma solo negli ultimi anni e per episodi limitati (la ristampa del volume di Don Sina Esine, storia di una terra camuna ; la vicenda Monte Campione 2; incontri sporadici ad Esine ed Iseo). Solo durante questa ricerca ho scoperto però la sua incondizionata fiducia nei miei confronti: fu estimatore del lavoro di catalogazione della Biblioteca curaziale che stavo conducendo nel 1982; mi avrebbe voluto indagatore dell’opera di Fortunato Federici per una pubblicazione di biografie di uomini illustri esinesi. Conservo come un caro ricordo un incontro lungo i gradini del castello di Iseo: una stretta di mano augurale, di tutto cuore, e la parola sinecùra riferita al lavoro, in modo mi potessi dedicare con più libertà agli studi diletti. Questo libro è dunque anche un atto di grazie del tutto privato ad una persona che ha avuto per me affetto sincero e paterno.

     Ho usato testimonianze e ricordi personali della mia famiglia quando mancavano altre fonti, quando li ho ritenuti rappresentativi o significativi per la loro esemplarità. Saranno riconoscibili dai nomi dei miei genitori (Giovan Maria Volpi, detto Dùrt, e Antonietta Federici).

     Quando non erano disponibili documenti, ho inventato di sana pianta, provandomi a costruire situazioni probabili. Il lettore riconoscerà senza difficoltà tali paragrafi, numerosi specie nell’ultimo capitolo; ho cercato di remunerarne perciò la sua benevolenza con una particolarità formale dello stile: la prosa diventa ritmica 1 , il contenuto è intrecciato, il lessico desueto e a volte sovrabbondante, i periodi sono notevolmente più lunghi, gli argomenti svolti con una modalità “retorica” che mi auguro possa riuscire gradevole, memore di un detto bruniano Se non è vero, è molto ben trovato. In greco esiste naturalmente un nome per definire tale procedura: plastographia . Attualmente significa “falsificazione” (tipici in tal senso sono gli scritti propagandistici), ma prima di giungere a tale significato, stava ad indicare una “grafia” che trattava “plasticamente” la materia linguistica (lessicale e grammaticale) per ottenere un certo effetto o un certo fine; più o meno come farebbe uno scultore che dal blocco informe di marmo “togliendo il superfluo” (dice lui) ottiene le forme che ha in mente. O meglio ancora: come farebbe lo stesso scultore che dal blocco informe di creta prova e riprova modellando una figura secondo l’immagine che ha nella mente, lasciandosi anche condurre dalle forme inattese che casualmente si danno mentre sta lavorando.

     In tali paragrafi le parole del biografo hanno una prevalenza sul “canto delle carte”, e le sue opinioni affiorano sopra quelle autentiche, le ipsissima verba di Oberto. Se il dichiararlo non mi scusa, ho tuttavia il conforto di chi ha conosciuto da vicino Oberto e con lui ha condiviso “metà della vita” (Hälfte des Lebens, Hölderlin).

     Per quanto riguarda le fonti bibliografiche ho rinunciato alle abbreviazioni; esse sono perciò date tutte per esteso e secondo la descrizione catalografica in uso nelle biblioteche. Ho preferito sollevare il lettore di un incomodo che risparmiare una quota di spazio, per altro irrilevante.

     Nell’Appendice sono stati raccolti articoli e interventi comparsi in giornali e riviste, ormai di difficile reperimento, nonché alcune testimonianze.

     Nella Bibliografia è riportato l’elenco il più possibile completo degli scritti di Oberto, rinunciando però all’elencazione sistematica degli interventi su «El Caròbe» raccolti in Storie di povera gente e Modi di dire che scompaiono.

     Questo libro non avrebbe mai visto la luce, senza il fitto dialogo con Margherita Alberti Ameraldi, che ha seguito passo passo il lavoro di ricerca, fornendo essa stessa per prima i documenti senza i quali sarebbe stato impensabile poter anche solo iniziare. Questi documenti erano già in bell’ordine. Ove non si precisa altrimenti la fonte dei documenti, si intende provenienti dall’archivio e dall’epistolario conservato dalla famiglia. Molti dei testi citati da Oberto, ritagli di giornale, articoli sono conservati in originale. È stata una fonte preziosa. Ella ha poi letto ogni capitolo, fornendo suggerimenti: mi ha fornito indicazioni, spiegazioni, precisazioni talmente numerose, così che non è azzardato dire che il libro in realtà è stato scritto a quattro mani, e solo per espresso desiderio non compare anche il suo nome in copertina. A lei va il mio ringraziamento più completo per tutto l’aiuto prestato, l’incoraggiamento a proseguire e la pazienza nell’attendere il risultato.

     Conoscendomi appena, se non per qualche incontro fugace lungo il Grigna di Esine, seduto su un sasso a studiare con un cane vicino, mi segnò le memorie di una persona per lei al massimo cara, ed accettò il rischio del commettermi il libro che ora si pubblica, fiduciosa della stima che Oberto aveva per me.

     Ringrazio il direttore didattico di Orzinuovi per avermi consentito l’accesso ai documenti conservati nell’archivio della Scuola Elementare. Senza quei documenti, il periodo 1943-1945 sarebbe stato frammentario al punto da far sospettare un’intenzionale reticenza.

     Un ringraziamento va anche a tutte le persone anonime che lavorano dietro le quinte di Internet. Oltre ai pochi indirizzi citati in bibliografia, Internet è stato di grandissimo aiuto nella ricerca bibliografica (cataloghi di biblioteche e librerie antiquarie), per alcuni testi, mi ha inoltre permesso di superare non poche difficoltà di fronte alle quali partivo completamente disarmato. Una per tutte: un giornale spagnolo nel 1940 paragonò Oberto a Mambrú (???); nel volger di pochi secondi un motore di ricerca mi aveva già riportato una prima traccia, un libricino bilingue spagnolo-inglese narrava la partenza di Mambrú/Marlboro per la guerra.

     All’emeroteca della Biblioteca Queriniana ho potuto sfogliare le annate de «Il Popolo di Brescia», «Brescia Repubblicana», «Il Giornale di Brescia», «La Voce del Popolo». Presso la biblioteca municipale di Santander le annate di «El Diario Montañés» e di «Alerta»; presso la Biblioteca municipale di Pamplona il quotidiano «Arriba España» e «El Pensamiento Navarro». Presso la Biblioteca della Fondazione Feltrinelli di Milano ho potuto consultare «L’Italiano di Tunisi» e «Il Giornale» diretto da Giorgio Amendola.

     Ai colleghi di queste biblioteche un grazie riconoscente e il credito del contraccambio.

     Come si usa dire, alle molte persone che mi hanno aiutato va la mia più profonda riconoscenza, ma le sollevo al contempo da responsabilità di errori di qualsiasi natura che potrebbero riscontrare nel testo.

    

Iseo, primo giorno di primavera 2000.


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Ultimo aggiornamento 17 febbraio 2010

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